La collezione, nata il 20 novembre 1982 per volontà del gallerista napoletano, raccoglie le opere dei più noti artisti italiani, europei e americani da lui chiamati ad esprimere la personale visione del terremoto che, il 23 novembre 1980, colpì la Campania e una parte dell’Italia Meridionale, sconvolgendo l’intera comunità nazionale. Dopo alcune sistemazioni temporanee allestite all’Institute of Contemporary Art di Boston nel 1983, a Villa Campolieto a Napoli nel 1984 e al Grand Palais di Parigi nel 1987, il corpus della collezione, costituito da settantuno opere, finalmente trovava destinazione nel Palazzo Reale di Caserta nel 1992, come stabilito nel lascito testamentario di Amelio.
Da quel momento ad oggi, diversi sono stati gli allestimenti: quello del 1992, in cui furono esposte solo trenta opere; quello del novembre 2001 a cura di Ester Coen e Livia Velani; quello realizzato nel 2004 da Achille Bonito Oliva ed Eduardo Cicelyn per il decennale della scomparsa di Lucio Amelio e, infine, quello del 2010, voluto in occasione del trentennale del sisma del 1980. Si decise, in quest’ultimo caso, di strutturare un percorso per “aree geografiche”, raggruppando le opere in base alla provenienza degli artisti, quasi a rimarcare - secondo le parole dell’allora soprintendente Paola Raffaella David - «la stupefacente attualità e “internazionalità” di una collezione che rappresenta una delle più importanti raccolte pubbliche di arte contemporanea di proprietà statale».
Nelle bellissime retrostanze degli appartamenti storici, all’interno del complesso vanvitelliano, sono dunque ospitate le testimonianze di artisti diversi per provenienza, linguaggio e formazione: da Rauschenberg e Beuys, da Wharol a Richter, da Pistoletto a Vedova e a Paolini, da Paladino a Kiefer, da Haring ad Halley, per citarne solo alcuni.
Lo scorso sabato 21 marzo, l’ufficio valorizzazione della Reggia di Caserta ha organizzato un evento per celebrare il ritorno dell’opera di Keith Haring, facente parte di Terrae Motus. La tela, dipinta a Napoli nel maggio 1983, è tornata dal de Joung Museum di San Francisco, a cui era stata prestata in occasione della mostra “Keith Haring. The Political Line”, tenutasi dall’8 novembre 2014 al 16 febbraio 2015. Davanti al grande acrilico, collocato nell’ultima retrostanza che precede il presepe, un giovane attore casertano, Fausto Bellone, ha sorpreso il pubblico recitando un monologo scritto dal dott. Vincenzo Mazzarella, incentrato sulla figura di Lucio Amelio e riguardante la contraddittorietà della grande cultura napoletana. Così, delle sue origini, aveva parlato Lucio Amelio: «Modeste e nello stesso tempo grandiose, come tutti i napoletani. Mi sento come una pietra viva della città: sento questa energia culturale che è presente dappertutto a Napoli». Un’energia che anche Keith Haring doveva aver accolto quando, in occasione della sua prima personale italiana presso la galleria di Lucio Amelio, fu chiamato a dare il suo contributo alla collezione d’arte Terrae Motus. Nell’opera “Senza titolo”, lo spazio della tela è abitato da tre giganteschi essere mostruosi colti nell’atto di calpestare piccole figure umane vorticanti nello spazio, mentre a destra, tra i segni-scrittura in nero, si celano le sigle di coloro che lo avevano assistito nella realizzazione dell’opera: CT (Corrado Teano), PC (Paola Colacurcio), JG (John Gillette), LA (Lucio Amelio). Anche in questo lavoro Keith Haring abbina all’impegno sociale, l’idea che l’arte debba essere fruita da un ampio pubblico, non costituito soltanto dagli abituali frequentatori di musei e gallerie.
«Nel quadro di Terrae Motus - spiega il graffitista americano - gli esseri che stanno facendo a pezzi la gente potrebbero essere di un altro mondo, ma sono completamente naturali. Hanno teste di animali, sono dei mostri, ma non hanno niente di freddamente tecnologico. Ho cercato di demistificare l’intera idea che l’arte sia qualcosa di sacro che debba essere riservata per una piccola cerchia di gente educata. Tutti possono entrare in rapporto con il mio lavoro a qualsiasi livello. Non nasconde niente».
Alessandra Magostini (Università degli Studi di Roma "Tor Vergata"