«Paola Barocchi non si stancava mai di ripetercelo. La storia dell’arte si scrive, oggi come sempre, per rispondere a sollecitazioni che vengono dalla cultura figurativa ‘contemporanea’. Siccome i modi di vedere cambiano continuamente, uno sguardo sempre rinnovato sul passato non dovrebbe prescindere dalla consapevolezza di un presente mutevole: perciò le infinite prospettive sul passato che i testi di storiografia artistica di ogni epoca riescono a dischiuderci richiederebbero da parte nostra – la Barocchi ce lo raccomandava ogni volta che faceva lezione – di essere ricondotte a contesti di cultura figurativa alle cui sollecitazioni, naturalmente, quei testi rispondevano. Ma, insomma, persino un simile approccio ‘multiprospettico’ di cui sentiamo oggi una così forte esigenza non può che dipendere – anche quando non ce ne rendiamo conto – dai condizionamenti del nostro presente: un presente che più che mai ci induce a uscire da noi stessi, come per guardarci dal di fuori per assumere punti di vista che non sono i nostri, per poterci meglio mettere in discussione, oppure per cercare nel nostro passato ciò che di noi stessi nel presente crediamo di avere perduto. E poi, naturalmente, per provare a capire l’altro, come ci vede con gli occhi suoi, eccetera, eccetera».
Filippo Titi, «Studio di pittura, scultura e architettura nelle Chiese di Roma (1674)», introdotto e curato da Damiano Delle Fave, con un saggio storico di Carmelo Occhipinti.