Il titolo della mostra “La radice del segno. Hans Hartung. L’opera grafica” ben rappresenta il tema dell’interessante esposizione dedicata al maestro franco-tedesco (Lipsia 1904 – Antibes 1989) dall’Istituto Nazionale per la Grafica, a Roma, a Palazzo Poli. Aperta dallo scorso 12 dicembre e in programma fino al 4 maggio, l’esposizione è stata resa possibile grazie all’opera del gallerista Massimo Riposati e alla cospicua donazione della Fondation Hartung-Bergman di Antibes al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
L’intero corpus grafico consta di 138 foglie comprende, accanto a litografie e calcografie, anche dipinti e disegni, questi ultimi esposti per la prima volta per rendere evidente il debito della pittura di Hartung nei confronti della grafica, sia per quanto concerne la procedura d’esecuzione dei segni che per il concepimento dell’intera produzione. Il percorso espositivo si articola nelle ampie sale di Palazzo Poli, dove è possibile ammirare la notevole capacità dell’artista nello sperimentare con innata disinvoltura i diversi procedimenti tecnici, frutto di numerose ricerche che lo hanno portato a reinventare utensili quotidiani rendendoli strumenti creativi.
In realtà la spontaneità e la rapidità del segno, caratteristiche primarie dell’opera del pittore, derivano dall’elaborazione di procedimenti complessi e studiati. Questo aspetto si può notare nella produzione delle sue più note litografie, frutto anch’esse di continue ed elaborate sperimentazioni di tecniche e materiali. Infatti l’artista coniuga le delicate sfumature di grigio tipico del pastello ai neri profondi dell’inchiostro mediante l’utilizzo di utensili che gli permettono di dar corpo alle sue ideazioni. Ma è soprattutto nella maniera nera litografica che Hartung, mediante l’utilizzo di rulli, pennelli e altri strumenti abrasivi che gli consentono di otteneretracciati grafici bianchi su fondo scuro, mette in risalto la forza inventiva del suo tratto, di quel “segno” che percorre tutta la sua produzione.
Il “segno” o “gesto fermo”, così definito dal celebre critico d’arte Achille Bonito Oliva nel testo scritto per la Fondazione Hartung-Bergman, è l’elemento basilare dell’operare di questo artista che, nelle sue continue sperimentazioni ed elaborazioni, impiega modalità formali che vanno dall’astrattismo all’Action-painting, al graffitismo, al segno libero. L’aspetto zigzagante di una linea che corre attraverso la pagina è rappresentativo di una vitalità e di una ricerca continua e costante nel tempo: una ricerca che va alla radice del segno stesso.
Donatella Bisceglia
Recensione pubblicata su Cultura Italia