“Il suolo come patrimonio culturale” è il titolo del corso introdotto all’interno dell’offerta formativa della facoltà di Scienze dei Beni Culturali dell’Università della Tuscia di Viterbo. L’obiettivo principale è quello di includere il suolo all’interno di sfere di conoscenza più ampie. Questo nuovo approccio, offerto in un contesto formativo di taglio umanistico, implica infatti un linguaggio diverso, rispetto a quelli propri della scienza del suolo, per promuovere la sensibilità conservativa di tale preziosa risorsa, oggi pesantemente minacciata dalle innumerevoli emergenze ambientali.
Il suolo, al di là delle ben note funzioni ecologiche e socio-economiche, è stato definito come “contenitore culturale, testimonianza storica di eventi naturali e/o legati alla vita dell’uomo, fonte di informazioni e conoscenza”. Pensiamo alla posizione centrale che il suolo assume nella storia dell’umanità: in esso, infatti, affondano le radici dell’esistenza umana, si manifestano i molteplici aspetti della vita rurale e urbana, e si sviluppano le diverse culture. Dal suolo e sul suolo sono nate e prosperate tutte le civiltà del passato, che nel suolo, alla fine, sono scomparse.
Nell’articolo 1 della World Heritage Convention (UNESCO, 1972) si definiscono patrimonio culturale i luoghi “prodotti dalla combinazione del lavoro di uomo e natura di particolare valore universale dal punto di vista storico, estetico ed etnologico-antropologico”. Può pertanto il suolo essere incluso a pieno titolo nella definizione di patrimonio culturale?
Per quanto riguarda il valore storico, “sfogliando” le pagine del suolo è possibile portare alla luce testimonianze di eventi naturali o legati alla vita dell’uomo, che consentono di scrivere ed interpretare il susseguirsi dei fatti storici. Le scienze archeologiche si avvalgono delle proprietà del suolo di proteggere i reperti dal degrado fisico, chimico e biologico, recuperando in questo modo le tracce lasciate dalle civiltà precedenti. A tal fine, l’analisi delle caratteristiche chimiche dei suoli dei siti archeologici, consente di valutare la capacità di conservazione del suolo stesso e, anche, di ottenere informazioni riguardo la funzione d’uso degli spazi (analisi funzionale dei pavimenti archeologici).
Il pedologo Hans Jenny, in The image of soil in landscape art, old and new (1968), attribuiva ai suoli un valore estetico, sia in quanto unità essenziale su cui si fonda il paesaggio, sia per le gradevoli alternanze cromatiche dovute alle proprietà fisico-chimiche dei suoli stessi. Nell’arte figurativa i suoli erano spesso rappresentanti come parte integrante del paesaggio naturale e mai come soggetto principale dell’opera d’arte.
Solo in tempi recenti si è assistito alla nascita della “land art”, all’inizio degli anni ’70, e a seguire, nel 2002, della “soil art”, in cui il territorio e, in un secondo momento, il suolo, divengono oggetto essi stessi delle rappresentazioni dall’artista, quindi meritevoli di attenzione estetica.
Infine, innumerevoli sono i contesti in ambito letterario, religioso, filosofico e culturale, dove individuare il forte legame intercorso tra l’uomo ed il suolo, o che permettono di attribuire a quest’ultimo un valore etnologico/antropologico. Dai testi sacri delle principali religioni monoteiste (Bibbia, Genesi 2.7; Corano, Sura 30:9), ai miti e leggende di varia provenienza geografica (la madre terra degli indiani d’America o Pachamama dei popoli andini), dal pensiero filosofico (Senofane) al pensiero politico (F.D. Roosevelt), passando per il poliedrico Leonardo da Vinci, oppure dalle pagine letterarie (De re rustica, Columella, La buona terra, P.S. Buck) alla poesia (Pochveniks, i poeti del suolo), il suolo è stato percepito, rappresentato, interpretato ed oggettivato nelle più varie forme espressive, al fine di rafforzare quel rapporto che lo lega all’uomo e alla sua vita.
M. Cristina Moscatelli ([email protected])
DIBAF - Università degli studi della Tuscia, Viterbo